Ultimamente si sta affermando in modo fastidioso – nel marketing e nella politica – l’abitudine a parlare delle emissioni di CO2 come DEL problema. Non c’è angolino sulle etichette o sui dépliant che non dichiari i grammi di CO2 risparmiati con questo prodotto o quel comportamento.
Come se fosse chiaro che è la cosa più importante.
Come se fossimo sicuri che basta [per sentirsi buoni].
Io sono un po’ meno scettico di lui riguardo al Global Warming in sé,
ma la penso anch’io come Beppe, che non cerca rassicurazioni,
come invece fa la maggior parte degli scettici. Lui pretende molto di più.
Anche se comprendo le posizioni di Governo e Confindustria riguardo agli accordi europei post-trattato di Kyoto, le mie motivazioni sono diverse.
Questo mi sembra uno di quei casi in cui è necessario fare un processo alle intenzioni, per capire dove ci vogliono portare (EDIT: CVD).
Penso anch’io che possiamo evitare di preoccuparci della CO2 in senso stretto: se i feedback dovessero rivelarsi in larga parte negativi, forse la scampiamo lo stesso; se dovessero essere positivi o nulli, non basteranno tre trattati.
Le criticità gigantesche del nostro futuro sono l’approvvigionamento energetico e alimentare; non crediate che l’abbiano capito: questi pensano solo al business as usual.
Dimenticando tra l’altro che se molti paesi europei sono a favore delle riduzioni è perché hanno già capito come usarle a favore della loro economia, non contro.
Siamo indietro, come sta troppo spesso capitando. E pensare che abbiamo un mix impressionante (quasi unico al mondo) di potenziale geotermico, eolico, solare.
Fatevela la vostra centrale nucleare, se vi tranquillizza; ma che non sia un alibi, come non deve esserlo la CO2 che risparmio io con le mie lampadine.
ED ECCOMI SERVITO:
Taglio agli incentivi del 55% per rinnovabili in edilizia